martedì 21 aprile 2015

ENRIQUE GUAITA

Come tutti sappiamo il 10 giugno 1934 l’Italia si laurea per la prima volta nella sua storia campione del Mondo, a seguito della vittoria sulla Cecoslovacchia per 2-1. Al tempo tutto il pubblico italiano celebra le reti di Orsi e Schiavio con i quali la squadra di Pozzo ribalta il vantaggio di Puc ed a Roma alza la Coppa Rimet.
La compagine italiana è composta da giocatori di grandissimo livello, dimostrandosi completa  in ogni reparto: in particolare dispone di un parco attaccanti fortissimo, dove spicca la figura di Giuseppe Meazza, per molti il più forte calciatore italiano di tutti i tempi.
Tra le punte azzurre se ne distingue però un'altra, decisiva per le sorti della nazionale italiana nel suddetto campionato del Mondo.
Enrique (Enrico) Guaita viene ricordato per il contributo dato alla rappresentativa azzurra nel 1934 e per una particolare quanto prolifica carriera.



Il nome di battesimo tradisce indubbiamente le sua origini sudamericane ed è proprio in Argentina dove cresce e diventa un apprezzato calciatore nelle file dell’Estudiantes.
Nella squadra di La Plata esordisce appena diciottenne, mettendosi in mostra come punta esterna, in grado sia di trovare la rete personalmente, sia di fornire suggerimenti per i compagni di reparto. Proprio la sua partita d’esordio diventa subito leggendaria per il suo club e per l’evolversi della sua carriera: nella partita contro l’Independiente segna addirittura una tripletta che gli permette di entrare stabilmente nelle scelte dell’allenatore e nelle grazie del pubblico.
Quest’ultimo si dimostra molto affezionato al giovane calciatore, soprannominandolo “El Indio” per via del colore olivastro della sua pelle.
Guaita milita nell’Estudiantes fino al 1933, giocando a fasi alterne, ma collezionando comunque 65 presenze condite da 32 reti.
Nello stesso anno ha la grande opportunità di approdare oltreoceano per giocare in uno dei campionati europei più importanti del periodo, quello Italiano.
L’offerta gli arriva dalla Roma, che intende approfittare della normativa sugli oriundi per tesserare il forte attaccante: le disposizioni della federcalcio vietano l’ingaggio di calciatori stranieri, ma permettono invece di acquistare calciatori nati all’estero ma di discendenza italiana.
Guaita rientra in pieno in questa descrizione e nell’autunno del 1933 approda nella capitale italiana in compagnia di altri due calciatori argentini, Alejandro Scopelli ed Andres Stagnaro, anche loro ingaggiati dall’ambiziosa società capitolina.





I dettami del governo fascista non consentono l’utilizzo di nomi di origine straniera, per cui il nome Enrique viene italianizzato in Enrico, con il quale risulta identificato in tutti i documenti ufficiali.
L’allenatore Luigi Barbesino punta fortemente sul trio argentino per impostare una squadra palesemente offensiva, dove gli attaccanti sono chiamati ad un notevole lavoro.
La sua idea tattica prevede che Guaita giochi da prima punta, ruolo da lui mai ricoperto nelle precedenti esperienze.
L’idea del tecnico piemontese è brillante, in quanto in tale ruolo l’attaccante può esprimere al meglio tutta la sua potenza unita all’ottima tecnica ed al rinomato senso per il gol. In tale posizione ha la possibilità di essere più lucido, risparmiando le energie spese in notevoli azioni in posizione defilata.
I primi approcci con il calcio italiano non sono propriamente positivi, in particolare Guiata fatica ad abituarsi alla nuova realtà e patisce leggermente il nuovo ruolo, essendo abituato a partire da posizione defilata.
La partita della svolta è quella di Firenze dove la punta di origine argentina sigla una bella doppietta, sbloccandosi definitivamente.
Anche in Italia gli viene attribuito un simpatico nomignolo, nato durante la gara contro il Livorno dove la Roma indossa la maglia nera per distinguersi cromaticamente dagli avversari. Tale particolare divisa unita alla tripletta segnata gli valgono il nome di “Corsaro Nero”.
Guaita termina la stagione con 14 centri in 32 gare, dimostrando evidenti segni di miglioramento nell’arco della stessa e proponendosi come uno degli attaccanti più attesi per il campionato 1934/1935.
Ma nell’estate del 1934 ad attenderlo c’è la grande occasione di disputare il Campionato del Mondo con la nazionale italiana, approfittando del suo ruolo di oriundo. In realtà avrebbe già giocato due partite (con un gol) con la selezione argentina, ma i regolamenti vigenti consentono alla nazionale italiana di convocarlo.
Il commissario tecnico Vittorio Pozzo imposta la squadra con il canonico metodo, presentando cinque punte di ruolo, destinando Guaita all’originario ruolo di attaccante esterno destro. Nel suddetto schema la punta centrale è Angelo Schiavio, mentre Giuseppe Mezza e Giovanni Ferrari agiscono alle sue spalle, con Raimundo "Mumo" Orsi sulla fascia sinistra.
I contenuti tecnici del reparto offensivo italiano sono notevoli e nonostante la dura concorrenza, gli azzurri sono in assoluto una delle rappresentative dalle possibilità realizzative maggiori.
Nella prima partita l'Italia vince 7-1 contro gli Stati Uniti, nonostante Guaita non prenda parte alla gara, avendo la possibilità di diventare titolare inamovibile solo a partire dalla doppia partita dei quarti contro la Spagna.
Il giocatore della Roma si dimostra decisivo soprattutto nella combattuta semifinale quando un suo gol consente agli azzurri si superare la forte Austria per 1-0.


In finale Guaita non va a segno, ma è decisivo con l’assist per il gol vittoria di Angelo Schiavio che  regala alla rappresentativa italiana la sua prima Coppa Rimet.
Sulle ali dell’entusiasmo per tale storica vittoria,  la nuova stagione lo vede capocannoniere con 28 reti in 29 partite, record ancora in essere per il campionato italiano a sedici squadre.
Tale brillante prestazione lo impone come uno degli attaccanti di riferimento dell’epoca, avendo tratto giovamento dalla modifica della posizione in campo, che gli consente di essere quasi immarcabile nell’area di rigore.


La Roma termina il campionato al quarto posto, ma è opinione unanime che la compagine giallorossa abbia ampi margini di miglioramento e possa essere tra le favorite per lo scudetto nel successivo anno agonistico.
A conferma di tale previsione la dirigenza capitolina ingaggia nell’estate giocatori del calibro di Luigi Allemandi e Renato Cattaneo, rinforzando ancora di più una già molto competitiva rosa.
Ma il 20 settembre 1935 succede un fatto clamoroso che segna per sempre la carriera di Guaita: a seguito dell’arruolamento forzato in vista della Guerra di Etiopia, i tre argentini della Roma decidono di tornare di nascosto in Argentina, appunto per evitare la chiamata alle armi.
La cosa suscita infinite polemiche, soprattutto per il fatto che i calciatori possono godere di un trattamento speciale che consentirebbe loro di non essere chiamati sul fronte: alcune voci parlano di un riuscito tentativo di danneggiare la squadra capitolina, attraverso false informazioni fornite ai calciatori per indurli ad abbandonare il paese.
Le autorità italiane accusano i tre argentini di traffico di valuta e precludono loro qualsiasi possibilità di rientrare nel suolo italico anche negli anni successivi.
I tifosi giallorossi vivono una stagione esaltante terminata al secondo posto, ma condita dal rammarico di non aver goduto delle prestazioni dei sudamericani rientrati in Argentina. In particolare il solo punto di distacco dal Bologna campione alimenta più di un rimpianto per l’assenza del proprio cannoniere, che avrebbe senz’altro colmato tale esiguo margine.
Guaita trova ingaggio nel Racing Club nel 1936 per giocarvi due ottime stagioni condite da 31 reti in 57 apparizioni.
Nel 1937 arriva per lui una nuova convocazione dall’Argentina, andando così a rendere più tortuoso il suo percorso con le rappresentative nazionali.
L’occasione è quella della Copa America 1937 vinta proprio dalla rappresentativa “Albiceleste” per la quale l’attaccante del Racing gioca due partite senza comunque andare a segno.
Nel 1938 ritorna alla sua società di origine, l’Estudiantes, dove gioca un’unica stagione che si rivela l’ultima della sua carriera, Dopo 27 partite e 9 gol appende definitivamente le scarpe al chiodo, nonostante abbia solo trent’anni e sia ancora in discrete condizioni atletiche.
Senza nulla aggiungere alle questioni personali che l'hanno portato ad allontanarsi dall'Italia, si può considerare Enrique Guaita come una delle punte più forti del suo tempo, entrato nella storia italiana come oriundo, ma consegnato alla leggenda per il contributo al Mondiale del 1934 e per essersi distinto con la maglia della Roma.
Purtroppo per un tempo molto limitato....



Giovanni Fasani 

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