domenica 8 ottobre 2017

EL CHIVO ANDREOLO

Se provassimo ad associare le parole centromediano ed oriundo nella nostra mente apparirebbe la massiccia figura di Luisito Monti, eccellenza nel ruolo e campione del mondo nel 1934 con l'Italia, dopo essere arrivato secondo quattro anni prima con l'Argentina.
In realtà in Sudamerica è sbocciato un altro fulgido talento di tale mansione, arrivato anche lui in Italia ed anche lui vincitore del Mondiale in maglia azzurra.
Parliamo del grande Miguel Angel Andreolo, autentico fuoriclasse nato in Uruguay da genitori emigrati dalla provincia di Salerno e diventato leggendario con la maglia del Bologna e con quella della nazionale di Vittorio Pozzo.


Nato a Carmelo in terra uruguagia nel 1912, mette subito in mostra doti fisico/tecniche che lo mettono all'attenzione del Nacional, nel quale cresce a livello giovanile e con il quale esordisce nel 1932.
Nonostante la giovane età mette in mostra un carattere ed una personalità da giocatore navigato, che il soprannome di Chivo, interpretabile nella sua accezione di "matto da legare", giustifica in pieno.
In effetti a centrocampo si fa apprezzare per la decisione negli interventi, ma altresì per l'eccezionale precisione nei passaggi, soprattutto in quelli a lunga gittata, vere e proprie sventagliate precise sui piedi delle mezzali.
Ovviamene diventa uno dei giocatori più apprezzati dei Tricolores, diventando il perno per la conquista di due titoli nazionali, garantendosi il perenne affetto della tifoseria.
Ad alimentare tale rapporto vi è anche una leggendaria partita, passata alla storia come El Clasico de los 9 contra 11: durante una sfida tran Penarol e Nacional questi ultimi giocano la partita con soli 9 uomini per le assenza di Nasazzi e Labraga. Andreolo si erge protagonista di una prestazione eccelsa, ponendosi come insuperabile baluardo in mezzo al campo, colpendo anche un clamoroso palo con una portentosa conclusione. La partita termina clamorosamente 0-0, permettendo al Nacional di continuare la rincorsa al titolo.
Tale indimenticabile match rispecchia in pieno tutte le qualità del centromediano uruguaiano, in grado di giocare di "spada o di fioretto" a seconda della situazione che si trova a gestire.
Pur mantenendo sempre una posizione arretrata in campo, Andreolo non disdegna la conclusione a rete, grazie alla quale viene temuto da ogni portiere, in virtù della grande potenza impressa al pallone; la leggenda vuole che durante la sua carriera abbia più volte spezzato i pali della porta avversaria!
L'unico suo limite è rappresentato dai calci di rigore, vero e proprio tabù del centromediano, che in proposito dichiara: "Quando mi trovo testa a testa con il portiere  mi cedono le gambe. Ho coraggio, ma al momento del tiro provo una sensazione di impotenza".
Nonostante tale piccola difficoltà, il suo profilo tecnico/tattico è di altissimo livello, venendo anche ben presto considerato anche dalla nazionale uruguaiana, in fase di ricostruzione dopo il Mondiale del 1934.


Andreolo gioca in tutto cinque partite con la Celeste, prendendo altresì parte al Campeonato Sudamericano del 1935, senza però essere mai impiegato. Il commissario tecnico Raul Blanco gli preferisce sistematicamente Lorenzo Fernandez, detto El Patron, centromediano del Penarol, più esperto di Andreolo e nel giro della nazionale dal 1925.
L'Uruguay vince il torneo generando grande entusiasmo nella capitale Montevideo, ma un po' meno nell'animo di Andreolo, il quale ha già deciso di abbandonare il Sudamerica per tentare l'avventura nel vecchio continente, con preciso riferimento al campionato italiano
Contattato dal Bologna si imbarca per raggiungere l'Italia senza un vetro e proprio contratto, certo di convincere lo staff tecnico rossoblù dall'alto della sua perizia tecnica.
All'allenatore Árpád Weisz non pare vero di trovarsi di fronte un simile fenomeno, tanto da avvallarne immediatamente l'ingaggio, ponendolo alla base del suo progetto tecnico.



La scelta si rivela vincente ed il centromediano uruguagio risulta decisivo per la conquista di due scudetti consecutivi, ponendosi come diga ed ispiratore della Francisco Feudullo/Raffaele Sansone e del trio offensivo composto da Bruno Maini, Carlo Reguzzoni e dal grande Angelo Schiavio.
Andreolo mette in campo tutta l'esperienza accumulata in patria e l'unico cambiamento significativo è il cambio del nome di battesimo, da Miguel a Michele così come vogliono le leggi fasciste, volte ad italianizzare tutti i nomi stranieri.
Il suo tiro potente e preciso lo rende temibile anche nel nuovo contesto, arrivando a segnare ben dieci reti nei due campionati in questione, tornando a segnare anche dal dischetto, superando quello che era un suo piccolo limiti in patria.
La squadra rossoblù trova la sua consacrazione di squadra che tremare il mondo fa a Parigi nel 1937 al Torneo Internazionale dell'Expo Universale, dove la squadra di Weisz incanta tutti aggiudicandosi la vittoria finale a spese del Chelsea.



Proprio la finale con la squadra inglese, sconfitta per 4-1, rappresenta la massima espressione della visione calcistica del tecnico, con Andriolo perno di una squadra a dir poco leggendaria.
Già dall'anno prima anche il commissario tecnico Vittorio Pozzo si accorge del suo talento, convocandolo come oriundo e schierandolo in campo per la prima volta in un'amichevole contro l'Austria.
Progressivamente Pozzo costruisce la squadra che si presenterà nel 1938 a difendere il titolo mondiale in Francia, attribuendo ad Andreolo il ruolo di centromediano che era stato di Luis Monti; si realizza quindi un significativo passaggio di consegne tra due tra i migliori interpreti del ruolo.
Andreolo viene ovviamente convocato stabilmente in tutte le amichevoli di preparazione al torneo, trovando anche la rete nella vittoria per 6-1 contro il Belgio, proprio in uno degli ultimi test prima dell'esordio mondiale.




Come noto l'Italia riesce nella storica impresa di bissare la vittoria del 1934, in un clima avverso per via delle contestazioni degli esuli italiani avversi al regime fascista, battendo nell'ordine Norvegia, Francia, il favoritissimo Brasile e l'Ungheria in finale.
Accanto a nomi quali Giuseppe Meazza, Silvio Piola, Gino Colaussi, Amedeo Biavati ed il portiere Aldo Oliveri anche quello del centrocampista del Bologna viene indicato dai più come una delle eccellenze del torneo.
El Chivo è perfetto nella funzione di trasformare l'azione da difensiva in offensiva e la sua precisione millimetrica nei passaggi lo rende imprescindibile per la squadra.
Inoltre la sua fisicità emerge in partite lottate come contro la Norvegia ed il Brasile, dove anche in autentiche bolge non manca mai un suo intervento risolutivo,
Terminato la rassegna ritorna ben presto il campionato che vede la squadra felsinea imporsi  dopo un anno di attesa, prevalendo sul Torino per quattro punti.
In una stagione tormentata dal forzato addio del tecnico Weisz a causa della promulgazione delle leggi razziali, Andreolo guida con il suo carisma la squadra al successo, determinato anche dalle grandi giocate di Biavati e dai gol di Hector Puricelli.
Nella stagione 1940/1941 arriva il quinto ed ultimo scudetto per il forte centromediano. ottenuto questa volta ai danni dell'Inter, indicata ai tempi come Ambrosiana.
Il legame con il Bologna finisce nel 1943, quando le prestazioni dell'ormai leggendario centromediano non sono più quelle di un tempo, anche se rimane intatto il suo carisma e la sua voglia di giocare.
Lascia la squadra felsinea con dopo 195 partite e 24 gol in campionato, a conferma della sua famigliarità con il gol e dell'efficacia della sua conclusione dalla distanza.
Un anno prima era invece terminato il suo rapporto con la nazionale italiana, chiusosi con 26 presenze ed un posto meritato tra le leggende in maglia azzurra.
Fortemente convinto di avere ancora tanto da dare al calcio giocato nel 1943 passa alla Lazio per due stagioni, proprio nel mezzo del periodo bellico, avendo la possibilità di giocare nel Campionato Romano di Guerra.
Terminata la guerra si trasferisce al Napoli dove sembra conoscere una nuova giovinezza, mettendo a disposizione tutta la sua esperienza.
Incurante dell'età gioca otto partite nel Catania in serie C, prima di essere tesserato per due stagioni con il Forlì nella medesima categoria, giocando con il contagocce a causa delle conseguenze fisiche di una carriera trascorsa a lottare in mezzo al campo. 
Al termine della carriera tenta con alterna fortuna la carriera di allenatore, tentando di trasmettere ai proprio giocatori la propria sagacia tattica, il proprio carisma e tutti i trucchi del mestiere imparati in una carriera di altissimo livello.
Morirà a Potenza nel 1981 lascando il ricordo di un grandissimo giocatore, uno dei più completi della sua epoca ed uno dei migliori in un ruolo ormai scomparso o, nella migliore delle ipotesi, evoluto in una funzione più moderna.


Giovanni Fasani

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