lunedì 5 febbraio 2018

IO NON PENSO, IO TIRO

Il mestiere di attaccante in Italia tra gli anni '20 e '30 era veramente per uomini duri e tosti, essendo in tale epoca in vigore un regolamento che legittimava il gioco duro, non tutelando in tal senso l'incolumità fisica dei protagonisti.
Un centravanti quindi doveva fare la classica "lotta" fisica con il difensore e puntare in pieno sulla propria astuzia e sulla rapidità di esecuzione, sapendo che raramente sarebbe arrivato un fischio amico dall'arbitro.
Tutte queste qualità indentificano in pieno il profilo di Rodolfo Volk, attaccante fiumano in grado di muoversi su tutto il fronte offensivo, con l'unico scopo di calciare a rete indipendentemente dalla posizione.




In quel "io non penso, io tiro" c'è tutta l'essenza della punta classe 1906, il quale in campo eccelle per movimento continuo, ma sempre finalizzato alla conclusione personale.
Siamo quindi di fronte ad un grande stoccatore che già dagli esordi nel Gloria Fiume va a segno con sorprendente continuità a dispetto della giovane età: a stupire è anche la grande faccia tosta con la quale duella fieramente anche con i difensori più smaliziati.
Al termine di un'amichevole contro il 33 Budapest FC nel 1925, dopo aver subito da lui due gol, il portiere magiaro Károly Zsak resta colpito dalla qualità del baldo diciannovenne, tanto da prevedere per lui un grandissimo futuro.
La grande stazza fisica per l'epoca (184 centimetri di altezza) gli consente di proteggere al meglio la palla, sorprendendo poi il difensore opponente con un'eccezionale rapidità di esecuzione. Se si vuole individuare il prototipo del centravanti perfetto del periodo, Volk sembra rappresentarne l'adatto prototipo.
Il suo tiro è potentissimo ed il fatto di cercare con assiduità la conclusione viene ripagata da un'ottima percentuale realizzativa che lo rende ben presto uno degli elementi più in vista della Seconda Divisione.
Dopo 10 reti in 15 partite nella stagione di esordio arriva per lui la possibilità di esordire in Prima Divisione nel 1926, quando viene acquistato dalla Fiorentina, neonata dopo la fusione tra C.S. Firenze e P.G.F. Libertas.
La stagione nel capoluogo toscano è segnata dall'obbligo del servizio militare che gli impone in certe occasioni di giocare con uno pseudonimo, per aggirare i divieti che la divisa gli impone; se in certi tabellini riscontrate quindi il nome di Rodolfo Bolteni il riferimento deve andare proprio all'attaccante di Fiume.
Tra vari impedimenti e sotterfugi riesce a scendere in campo 14 volte, trovando la rete in ben 11 occasioni, a dimostrazione ulteriore che siamo di fronte ad un talento notevole.
L'esperienza a Firenze dura una sola stagione, decidendo nel 1927 di fare ritorno nella città natale dove, un anno prima, Gloria ed Olympia si sono fuse per dare vita alla Fiumana.
Tale fondamentale passaggio è segnato dall'incontro con Marcello Mihalich, altro attaccante autoctono tutto dribbling e tecnica, con il quale forma da subito una coppia fenomenale.
L'uno fa letteralmente la fortuna dell'altro, con Volk che approfitta degli spazi e degli assist forniti dal compagno per mettere a segno 16 reti in altrettanti incontri.
La Fiumana fallisce l'approdi nella Divisione Nazionale, ma le magie fatte in campo dalla coppia di attaccanti attira l'interesse dei più importanti club italiani, scatenando una serrata e burrascosa asta per il loro acquisto.
Napoli e Roma danno vita a tale bagarre che viene risolta solamente con l'intervento della federazione, la quale salomonicamente decide che Mihalich debba andare al Napoli, mentre Volk debba trasferirsi nella capitale.


Il pubblico giallorosso ha quindi la possibilità di ammirare un attaccante portentoso, per niente intimidito dall'esordio nella massima serie, tanto da "battezzare" il nuovo Campo Testaccio con un gol all'esordio.
La sua peculiarità è quella di giocare spalle alla porta non con la classica mansione di fare da sponda, ma con quella più egoistica di girarsi rapidamente e calciare a rete con inaudita potenza e precisione.
Nella prima stagione mette a segno 24 reti, che lo indicano come uno degli attaccanti più forti in circolazione diventando, ovviamente, un idolo per i tifosi romanisti.
Questi ultimi fanno a gara per trovargli soprannomi in grado di descrivere in pieno il suo talento calcistico ed il suo spirito indomabile, attribuendogli dapprima l'epico Sigfrido, per poi coniare Sciabbolone (rigorosamente con due B), con specifico riferimento a quel Sciaboletta storicamente attribuito in tono dispregiativo al Re Vittorio Emanuele III.
Va infine segnalato come il suo nome venga romanamente storpiato in Vorche, ed al Campo Testaccio era consuetudine sentire qualche tifoso gridare:" Vorche sfonna tutto!"
Il feeling con il pubblico raggiunge il massimo quando nel 1929 decide il primo derby capitolino, con l'unico gol dell'incontro che riempie di soddisfazione la fazione giallorossa della capitale.
Anche a Roma è costretto nuovamente a cambiare cognome, stavolta non per ragioni militari, ma per ottemperare alle leggi fasciste che non tollerano nomi e cognomi di matrice straniere; annuari e tabellini recano a tal proposito l'italico nome di Rodolfo Folchi.
Volk o Folchi che sia l'attaccante fiumano sembra non smettere di segnare mettendo a segno 21 reti nella stagione 1929/1930 e soprattutto, 29 reti in quella successiva.
Tale ingente score gli vale il titolo di capocannoniere,  massima soddisfazione personale in una stagione che la Roma termina al secondo posto a 4 punti dalla Juventus capolista, nonostante quest'ultima venga sonoramente battuta per 5-0 nella gara giocata al Campo Testaccio.
La squadra giallorossa è una macchina da gol ed accanto a Volk trovano spazio le giocate di Cesare Fasanelli e Arturo Chini Ludueña , ispirati dal talento e dalla tecnica di Fulvio Bernardini.





E' indubbiamente una delle formazioni più amate dal pubblico romanista, quantomeno allo stesso livello di quella che conquisterà lo scudetto nella stagione 1941/1942.
Volk è in assoluto è il loro massimo idolo, pienamente inserito nel contesto socio-sportivo e fiero dell'appartenenza a quella che è la squadra della sua vita. A tal proposito dirà." "Arrivavamo alla fine delle partite con una riserva di fiato straordinaria. Avremmo potuto giocare per tre ore di seguito. Negli ultimi minuti scattavamo all’attacco con tale veemenza che spesso riuscivamo a raddrizzare le sorti di un match compromesso. Questo era il “cuore” della Roma.Tutti sentivamo la necessità di condurre una vita da veri atleti ".
Altre due stagioni nella capitale, seppur con numeri realizzativi inferiori, ne  confermano il valore, nonché la sua inclusione tra i migliori attaccanti del campionato, anche in ottica nazionale.

Questo, però, è un tasto dolente: in tutta la carriera non giocherà mai con la selezione maggiore dell'Italia, chiuso dal talento di Silvio Piola, Angelo Schiavio e Giuseppe Meazza e dall'ostracismo di Vittorio Pozzo, che mai gli darà una possibilità in chiave azzurra.
Le cinque presenze con altrettanti gol nella selezione B sono le uniche tracce del suo percorso in nazionale, decisamente non in linea con la sua carriera nei club.
Quest'ultima vive un altro momento decisivo nel 1933, quando a causa di presunti screzi con il compagno Enrique Guaita, decide di abbandonare la Roma, comprendendo come la preferenza di tecnico e dirigenza ricada proprio sul nuovo attaccante proveniente dall'Argentina (vedi un nostro precedente articolo).
Volk è dotato di grande dignità ed ardore e, nonostante sia conscio di una forma fisica in fase decrescente, non accetta l'eventuale panchina e decide di trasferirsi al Pisa.
 


Ovviamente lascia un grande rimpianto nella capitale, dove non sembra possibile dimenticare le 106 reti ufficiali in 169 partite, alcune delle quali autentiche perle balistiche.
Il grande Fulvio Bernardini a tal proposito ricorda la sua tripletta segnata allo Slavia Praga del celebre portiere František Plánička in Coppa Europa: per il Fuffo uno di questi gol, realizzato alzando la palla dal fango e calciandola con incredibile potenza all'incrocio dei pali, sarà per sempre il più grande gol da lui mai ammirato.
Nella nuova avventura con la squadra neroazzura in Prima Divisione, Volk segna con ottima continuità (16 gol), mettendo a referto anche una decisiva doppietta nello spareggio vinto per 3-1 contro l'Udinese, utile per approdare in serie B.
La stagione successiva gioca nell'ambiziosa Trestina, dove però acciacchi e una condizione atletica lontana dagli antichi splendori gli permettono di scendere in campo solo 6 volte.
Decide quindi di tornare nell'amata Fiume in serie C, dove la grande esperienza acquisita ai massimi livelli gli consente di fare ancora la differenza; meno gol, ottenuti sempre con grande potenza, ma più giocate a favore dei più giovani compagni.
Nella stagione 1940/1941 la squadra torna in serie B, ma per Volk è questo l'inizio della fine: per la prima volta in carriera non riesce a trovare la rete e le sole 5 presenze conquistate profumano tristemente di epitaffio calcistico.
Torna a Roma dove vive esperienze da giocatore allenatore, trovandosi costretto a dividere il suo tempo con il lavoro da contabile, necessario per sopravvivere non avendo più risparmi a causa della guerra in corso e della dilapidazione degli stessi negli anni precedenti.
Continua a scendere in campo fino alla fine degli anni '40 con Montevarchi e Vastese, cercando di sbarcare il lunario e di fare pace con una vita che nel tempo si è fatta durissima.
Rimasto vedovo in giovane età si era successivamente risposato, ha visto i suoi due  figli morire subito dopo la nascita: anche per tali struggenti episodi la sua vita post calcio è davvero triste e solo il lavoro di usciere al CONI gli consente di andare avanti in modo più o meno dignitoso.
La successiva malattia, la misera pensione ottenuta ed il ricovero presso una casa di cura mettono la parola fine alla sua vita, terminata nel 1983.


 
Ricordato principalmente dai soli tifosi romanisti, Volk è stato senza dubbio uno dei più forti centravanti della sua epoca, laddove solamente contingenze esterne non gli hanno consentito di trovare spazio nella memoria collettiva.
Vari critici gli hanno continuamente contestato la scelta del ritorno a Fiume nel 1927, quando era in essere la possibilità di restare ai massimi livelli o di tentare anche l'esperienza all'estero (Sparta Praga); in tale senso il suo legame con la città natale non viene mai meno, concependola come un'ancora di salvezza nei momenti più duri o incerti della sua carriera.
Chi lo ha visto giocare non ha dubbi sul fatto che una simile potenza balistica connessa ad altrettanta velocità nel concludere abbia pochi eguali.
Per tutti deve restare la figura di un attaccante che, a suo dire, calciava prima di pensare, ma nella maggioranza dei casi con la massima efficacia.
 
 
 
Giovanni Fasani
 
(Fonti: "El Balon Fiuman" di Luca Dibenedetto"
 

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